Il protagonista della storia è Leon, un capriccioso rampollo milanese, che divide le proprie giornate tra ozio, cocaina e la fidanzata Anita. Ma ecco che quando il terzo componente della sua perfetta equazione decide di lasciarlo per il suo migliore amico, qualcosa si disintegra nella routine quotidiana del ricco Leon: e allora via verso un piccolo paesino delle colline toscane, dove incontrerà l'autorevole donna Lavinia, il sentimentale Ricardo ed un mondo a lui del tutto sconosciuto, fatto di duro lavoro, vini pregiati e sentimenti genuini.
Bianchini riesce a cambiare totalmente registro di narrazione in questo terzo romanzo, allontanandosi dalle realtà più glamour dei precedenti lavori e puntando ad un'analisi più approfondita della crisi individuale del proprio protagonista. Nel fare ciò, giustamente, adotta una narrazione in prima persona, ma che tuttavia garantisce al lettore un'immedesimazione non totale, lasciando così ampio spazio ai giudizi ed alle interpretazioni personali.
Numerosi gli spunti tra la rosa dei personaggi: Ricardo, il cubano sognatore che insegna i balli latini alle proprie colleghe, e Giulia, la ragazza innocente ma non ingenua, si caricano di positività ed emergono dalle pagine come le presenze più belle dell'intero racconto. Anita, la donna del desiderio che si allontana, poi torna, e poi si allontana di nuovo, richiama alla mente la Stella di Ti seguo ogni notte, ma con una personalità più nobile, capace di adombrare i capricci femminili del suo eterno tira-e-molla.
L'amico di college Stéphane, invece, viene sviluppato poco e non assume alcun ruolo importante durante tutta la narrazione, deludendo chi si aspettava molto di più da un personaggio presentato con notevole enfasi, ma che non riesce ad oltrepassare i meno definiti margini della storia: un accenno interessante, che tale rimane. Purtroppo.
Nel complesso, tuttavia, il romanzo risulta molto gradevole alla lettura. Alcune tecniche della narrazione, come le lunghe telefonate tra Leon ed i suoi familiari, mostrano un Luca Bianchini sempre alla ricerca di nuovi espedienti letterari, che in questo caso colpisce nel segno. Da apprezzare l'accurata ricerca nel linguaggio, che trova un sublime stridio tra il milanese sboccato di Leon e l'amabile accento toscano della popolazione di Trequanda.
Filippo Piva
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